Il 24 giugno del 2015 la Corte Distrettuale dell’Aja ha iniziato un percorso coraggioso e inedito che, se confermato nei successivi gradi di giudizio, potrebbe far giungere celermente al riconoscimento della responsabilità individuale di ogni singolo Stato rispetto al cambiamento climatico.
Non essendo sufficienti, infatti, le opere di sensibilizzazione in grado di modificare gli assetti normativi vigenti, le associazioni ambientaliste così come le autonomie locali delle zone più colpite dal cambiamento climatico hanno iniziato delle campagne contro l’inquinamento prodotto dai propri Stati ricorrendo a un ulteriore strumento: il ricorso giudiziario.
Sulla materia attinente all’ energia (e alle energie rinnovabili in particolare) la magistratura ha dimostrato, tuttavia, sempre una forte reticenza a sovrapporsi alle decisioni assunte a livello statale, respingendo qualsiasi tipo di ricorso sulla giustificazione di una mancanza di competenza.

È per tale ragione che la class action capeggiata dalla Urgenda Foundation che ha comportato la pronuncia della Corte distrettuale dell’Aja segna una prima netta rottura rispetto al passato.
In primo luogo perché risulta, per la prima volta, che il potere giudiziario interviene su scelte di politica statale, afferenti al potere legislativo, sul tema del cambiamento climatico, solitamente riservato alla discrezionalità statale. Tale intervento è stato giustificato, infatti, dal rammentare che il compito principale della magistratura dovrebbe esser quello di proteggere giuridicamente i soggetti sottoposti alla propria giurisdizione anche dalle decisioni del governo e, tra tutte, quelle afferenti al cambiamento climatico non possono che essere, ormai, incluse.
In secondo luogo perché la Corte, nel condannare il governo olandese a rispettare obiettivi più elevati di riduzione dei gas a effetto serra rispetto a quelli decisi a livello europeo, richiamando anch’essa i dati provenienti dagli studi dell’ultimo rapporto IPCC, ha evidenziato la responsabilità individuale dei Paesi Bassi rispetto al cambiamento climatico, rigettando l’opposizione che allo stesso contribuiscano tutti gli altri Stati.

La particolarità di tale sentenza, inoltre, risiede nel dettato normativo richiamato dall’Urgenda Fondation per motivare la class action contro i Paesi Bassi: pur non essendo, in quanto Fondazione, legittimata a lamentare la violazione dei diritti umani, l’Urgenda Fondation ha deciso di riportare una serie di articoli della Convenzione Europea sui Diritti Umani per basare le proprie pretese rispetto agli insufficienti interventi sul cambiamento climatico da parte dei Paesi Bassi, tra i quali il diritto al vita e il diritto alla vita privata e familiare.

Sebbene la Corte non basi la sua decisione sugli impegni che i Paesi Bassi hanno assunto rispetto alla CEDU, (considerato che il ricorrente principale, in quanto fondazione, non è legittimato a lamentare la violazione dei diritti umani), tuttavia la Corte Distrettuale dell’Aja è giunta a interpretare alcune norme del Codice Civile olandese quali espressioni del duty of care che il governo avrebbe dovuto dimostrare nei confronti dei propri cittadini.
Benché, quindi, gli articoli n. 2 e 8 della CEDU attinenti al diritto alla vita e al diritto della vita privata e familiare non siano stati considerati nella circostanza specifica, il risultato ottenuto attraverso l’interpretazione della Corte porterebbe alle stesse conclusioni presentate nella class action capeggiata dalla Urgenda Foundation: lo Stato olandese, quindi, avrebbe assunto degli obblighi di azione nei confronti dei propri cittadini tra i quali la tutela del diritto a vivere in un ambiente non minacciato da alterazioni climatiche in un lontano futuro.

Attraverso tale sentenza emerge in modo chiaro, quindi, che il cambiamento climatico non è solo un’ipotesi ma un realtà che sta assumendo le caratteristiche proprie di un danno consistente alla vita degli esseri umani sia presente che futura, tale da pretendere un intervento immediato da parte degli Stati.

Gli esiti finali della battaglia portata avanti dalla Urgenda Foundacion sono da attendere: resta il fatto che il risultato attuale dimostra un cambio di rotta nella prospettiva dei giudici che potrebbe felicemente condizionare ulteriori pronunce di tal genere, aprendo la strada a ricorsi anche di tipo individuale per la protezione del proprio diritto a vivere in un ambiente salubre non sottoposto a cambiamenti climatici.
Resta il fatto che la condanna del Governo olandese, per quanto temporanea, abbia comunque avuto una buona influenza sulle politiche del Parlamento olandese.
Il 15 settembre 2016, infatti, il Parlamento olandese ha approvato un documento nel quale si chiede al Governo di adottare un obiettivo del 55 % di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030. Tale obiettivo comporterà la chiusura immediata delle cinque centrali a carbone attualmente funzionanti nel paese.
Come ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Stientje van Veldhoven: <<Chiudere grandi centrali a carbone, anche se entrate in funzione da poco, è il modo più efficace per centrare gli obiettivi sottoscritti con l’Accordo di Parigi sul clima, e tutti i paesi dovranno adottare misure di vasta portata. Non possiamo continuare a usare il carbone come fonte energetica più economica quando, in realtà, si tratta della più dispendiosa fonte di energia se si valutano i costi per il clima.>>